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IMPRESE E INNOVAZIONE / South Working e LabLaw

Raffele Tovino • 11 aprile 2022

Insieme per affermare la dignità del lavoro a distanza

di Raffaele Tovino

“E’ necessario andare verso il definitivo superamento del concetto di lavoro agile inteso come lavoro da remoto. In futuro dovremo valorizzare lo smart workingquale modello di lavoro nuovo per le aziende e per le loro risorse umane”. Parla Alessandro Paone, avvocato giuslavorista ed equity partner di LabLaw Studio Legale, realtà da sempre in prima linea nella materia e nelle sperimentazioni normative in diritto del lavoro. Che annuncia una proposta di emendamento al testo di legge unificato sul lavoro a distanza lanciata d’intesa con “South Working – Lavorare dal Sud®”, associazione di promozione sociale di cui si è molto parlato, sui giornali e nei talk show, durante la pandemia da Covid che ha costretto gli italiani a fare esperienza di forti restrizioni alla mobilità. South Working – Lavorare dal Sud è un progetto di Global Shapers – Palermo Hub, per studiare il fenomeno dello smart working localizzato in una sede diversa da quella del datore di lavoro, in particolare dal Sud Italia, con i suoi pro e contro. L’obiettivo di fondo? Aiutare lavoratori che vogliano intraprendere questa modalità di lavoro. “Vogliamo presentare – spiega l’avvocato di LabLaw – una proposta di emendamento altesto di legge unificato sullo smart working approvato in Commissione Lavoro presso la Camera dei deputati, in vista della discussione parlamentare per l’approvazione della nuova legge chiamata a regolamentare la materia dopo la significativa esperienza in periodo di pandemia”.Si tratta di una proposta trasversale che vuole mettere in chiaro il definitivo superamento del concetto di lavoro agile inteso come lavoro da remoto, con il fine di valorizzare lo smart working quale modello di lavoro per le aziende che possono costruire nuove strutture organizzative. “Andando incontro alle persone – aggiunge Paone – per sviluppare una nuova culturadigitale sfidante ed inclusiva”.



La modalità del lavoro a distanza consente di superare ilimiti territoriali, che non saranno più percepiti come tali. Ne trae vantaggio l’intero mercato del lavoro, perché sarà possibile consentire, a chi lo desidera, di continuare a lavorare in modo agile anche per lunghi periodi dai territori di preferenza. Ma i vantaggi principali riguardano chi intende restare al Sud. Al Mezzogiorno e alle aree interne del Paese viene offerto uno strumento per il miglioramento qualitativo e quantitativo del modo di produrre. La forza lavoro potrà essere così trattenuta sul territorio, con l’offerta concreta di un futuro professionale adeguato, riducendo flussi migratori che impoveriscono molte aree dell’Italia. Si tratta di un modello di lavoro agile per obiettivi, ben diverso dal telelavoro, sulla centralità del ruolo della contrattazione collettiva e sulla necessità di dotare tutti i territori di infrastrutture adatte al lavoro, nella forma di spazi di coworking, utili per consentire confronti e aggregazioni in grado di elevare culturalmente qualunque area del nostro paese. “La nostra proposta – è il commento di Elena Militello fondatrice e presidente dell’associazione South Working- è ispirata a una visione volta a garantire la coesione territoriale e contribuire a ridurre gli enormi divari tra regioni e tra grandi città e aree interne del Paese, tra grandi distretti urbani e aree marginali”. Il Focus sul South Working del Rapporto SVIMEZ 2020 stima circa 58.000 lavoratori e lavoratrici potenzialmente interessate all’argomento nel lungo periodo, mentre una recente ricerca dell’Associazione Italiana Direttori del Personale ha fatto emergere un’apertura al South Working nel 15% delle aziende intervistate. “Parliamo – conclude – di una modalità di lavoro già ampiamente adottata in via sperimentale, spesso migranti intellettuali, lasciando le proprie reti sociali e familiari per cercare migliori opportunità di studio e di lavoro lontani dai propri territori di origine”. 

I South Worker meritano quindi un riconoscimento normativo a livello centrale per superare le resistenze anti-moderne e garantire un approccio di reciproco vantaggio tra tutti i portatori di interesse, basato sulla volontarietà per i lavoratori, sull’aumento di produttività per i datori di lavoro e sul recupero dei legami di comunità per i territori interessati ad attrarre capitale umano. L’esperienza acquisita in questi due anni di telelavoro emergenziale da casa, ci spinge a riflettere sulla possibilità di incentivare la diffusione di spazi di lavoro condiviso (coworking) su tutti i territori, permettendo ai Comuni delle aree marginali di dotarsi di questo servizio. “Questi spazi – riprende Militello – sono pensati come presidi di comunità, ossia luoghi in cui evitare l’isolamento della propria casa e consentire una florida relazione tra i South Worker e le comunità locali, troppo spesso rimaste indietro per uno spopolamento emorragico, non più inevitabile. Per questo motivo i fondi per i Comuni, nella misura di 10 milioni per l’anno in corso, verrebbero stanziati a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione”. Le modifiche proposte sono finalizzate a centrare gli obiettivi cui deve tendere lo smart working nei moderni contesti economici sperimentati dopo la pandemia. Tre sono le direttrici: la centralità della contrattazione collettiva, quale strumentazione abilitatrice dello smart working a livello generale. C’è poi il team della reintroduzione del concetto giuridico di lavoro per obiettivi, poiché altrimenti si rischia un ritorno al passato favorendo la creazione di lavori a distanza di basso valore aggiunto.Da ultimo, favorire l’occupazione in qualunque territorio mediante il lavoro agile: è una leva di coesione territoriale straordinaria, in questo modo è veramente possibile migliorare la struttura quali-quantitativa de nostro mercato del lavoro. Intere aree del paese, oggi impoverite da anni di grandi migrazioni altrove, nelle città dove ci sono industrie e commerci più strutturati in grado di garantire un futuro a partire da un reddito stabile, potranno trattenere o alimentarsi di persone che percepiranno redditi provenienti da qualunque parte dell’Italia e del mondo. Una rivoluzione economica a km 0, che garantisce futuro dove oggi si è costretti a cercarlo altrove.


Publicato su: IlSudOnline.it


Autore: Raffaele Tovino 23 ottobre 2024
Negli ultimi anni, il tema dell'uso di droghe sul posto di lavoro ha assunto una crescente rilevanza, sia per le conseguenze sulla sicurezza sia per l'impatto sulla produttività e il benessere dei lavoratori. In Italia, la normativa che disciplina il consumo di sostanze stupefacenti o psicotrope in ambito lavorativo si è evoluta per garantire non solo la tutela della salute dei lavoratori, ma anche la sicurezza sul luogo di lavoro. Normativa di Riferimento La principale norma che regola l'uso di droghe sul lavoro è il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/2008), il quale pone l'accento sull'importanza di prevenire comportamenti a rischio che potrebbero mettere in pericolo la salute e la sicurezza, sia del lavoratore che dei suoi colleghi. L'articolo 41 del Testo Unico prevede che i lavoratori esposti a particolari rischi, come coloro che operano su macchinari o in settori dove l'attenzione e la prontezza sono essenziali, debbano sottoporsi a sorveglianza sanitaria obbligatoria. Questa include anche la possibilità di effettuare test tossicologici per rilevare l'eventuale presenza di sostanze stupefacenti. Tra le mansioni particolarmente a rischio troviamo: Operatori di macchinari industriali Autisti di mezzi di trasporto pesante Lavoratori in quota Addetti alla movimentazione di materiali pericolosi L'obbligo di sottoporre a controlli questi lavoratori è stabilito dall'Accordo Stato-Regioni del 30 ottobre 2007, che specifica le modalità di sorveglianza e di screening, indicati come strumento di prevenzione di incidenti. Controlli e Test Tossicologici I controlli antidroga sul lavoro devono essere svolti secondo protocolli ben definiti, rispettando la privacy del lavoratore. I test tossicologici possono essere disposti sia in fase di assunzione che periodicamente durante l'impiego. In caso di positività, il lavoratore non può essere licenziato immediatamente, ma viene avviato verso un percorso di riabilitazione e può essere sospeso temporaneamente dalle mansioni a rischio. Le fasi del controllo sono generalmente le seguenti: Identificazione delle mansioni a rischio: Il datore di lavoro, in collaborazione con il medico competente, identifica i ruoli per i quali è necessario effettuare i controlli. Sorveglianza sanitaria: Il medico competente svolge visite periodiche e può richiedere test tossicologici in base alla mansione svolta. Esito dei test: Se il risultato è positivo, il lavoratore può essere sospeso temporaneamente dalle attività pericolose e indirizzato verso un programma di recupero. Riservatezza dei dati: I risultati dei test devono essere trattati con la massima riservatezza e possono essere condivisi solo con il medico competente e con il datore di lavoro, nel rispetto della normativa sulla privacy (GDPR). Responsabilità del Datore di Lavoro Il datore di lavoro ha la responsabilità di garantire un ambiente di lavoro sicuro, libero da qualsiasi rischio legato all'uso di sostanze stupefacenti. Questo si traduce nell'obbligo di adottare tutte le misure necessarie per prevenire incidenti causati da lavoratori sotto l'influenza di droghe. Nel caso in cui il datore di lavoro non provveda ai dovuti controlli, rischia di essere sanzionato penalmente in caso di incidenti. Inoltre, l'omessa sorveglianza può comportare responsabilità civili per danni causati a terzi. Recupero e Reintegrazione La normativa non è punitiva nei confronti del lavoratore che fa uso di droghe, ma prevede percorsi di recupero e reintegrazione. Il lavoratore positivo ai test può essere avviato a programmi terapeutici, mantenendo il diritto al lavoro, seppure temporaneamente sospeso dalle mansioni rischiose. Il reinserimento avviene solo dopo la certificazione di completa riabilitazione. Conclusione La normativa italiana in materia di droga e lavoro cerca di bilanciare le esigenze di sicurezza con il diritto alla salute e alla privacy dei lavoratori. I controlli tossicologici rappresentano uno strumento essenziale per prevenire incidenti sul posto di lavoro, soprattutto in settori ad alto rischio, ma devono essere condotti nel rispetto della dignità e dei diritti del lavoratore. Per i datori di lavoro, è fondamentale essere informati e attuare politiche preventive adeguate, così da garantire la sicurezza di tutti i dipendenti. Raffaele Tovino
Autore: Raffaele Tovino 14 ottobre 2024
La 74° Giornata Mondiale per la Sicurezza sul Lavoro, celebrata ieri, offre un’importante occasione per riflettere sullo stato della sicurezza nei luoghi di lavoro a livello globale. Ogni anno, milioni di lavoratori subiscono infortuni o perdono la vita a causa di incidenti sul lavoro, malattie professionali e altre condizioni legate alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Nonostante gli sforzi delle istituzioni, dei sindacati e delle imprese, il numero di incidenti gravi e mortali non mostra segni di una significativa diminuzione, anzi in alcuni settori è in aumento. Questa situazione richiede un’analisi approfondita delle cause, delle mancanze normative e delle soluzioni praticabili che potrebbero finalmente portare a un cambiamento tangibile. La Persistenza del Problema: Dati e Statistiche Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), ogni anno nel mondo si verificano circa 2,3 milioni di decessi legati al lavoro. Questi decessi includono incidenti mortali e malattie professionali che derivano dalle condizioni lavorative. Se consideriamo solo gli incidenti, parliamo di circa 340.000 morti ogni anno, una cifra che indica chiaramente che il problema della sicurezza sul lavoro è ancora molto lontano dall’essere risolto. In Italia, i dati forniti dall’INAIL confermano una tendenza preoccupante. Nel 2023, sono stati denunciati più di 550.000 infortuni, di cui oltre 1.400 con esito mortale. Questi numeri, nonostante una leggera flessione rispetto agli anni precedenti, sono ancora inaccettabili, soprattutto in un contesto in cui le tecnologie di prevenzione sono sempre più avanzate e accessibili. Le Cause dei Problemi di Sicurezza sul Lavoro Le cause alla base di questa problematica complessa sono molteplici. In primo luogo, l’errata valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro è un fattore determinante. Spesso, le aziende non investono sufficientemente nella formazione dei lavoratori in materia di sicurezza, oppure non rispettano le normative vigenti. La mancanza di cultura della sicurezza è un aspetto critico che spesso viene trascurato, soprattutto nelle piccole e medie imprese, dove le risorse destinate a tali programmi sono limitate. Un’altra causa di questa situazione è l’evoluzione del mondo del lavoro. Con l’introduzione di nuove tecnologie, come la robotica avanzata e l’intelligenza artificiale, sono sorti nuovi tipi di rischi. I lavoratori, in molti casi, non sono adeguatamente preparati a gestire queste nuove realtà, e le normative stentano a tenere il passo con le innovazioni. Inoltre, vi sono differenze notevoli a livello di sicurezza tra i vari settori lavorativi. Settori come l’edilizia, l’agricoltura e i trasporti continuano a registrare un elevato numero di incidenti, dovuto alla natura intrinsecamente rischiosa delle attività svolte. Questi comparti sono spesso caratterizzati da lavori manuali e l’uso di attrezzature pesanti, e il rischio di incidenti gravi è sempre dietro l’angolo. La Responsabilità delle Istituzioni e delle Imprese Le istituzioni hanno un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, vi sono delle criticità evidenti nell’applicazione e nel monitoraggio delle normative esistenti. Le leggi, in molti Paesi, sono obsolete o non sufficientemente severe, e le ispezioni sul lavoro sono spesso inadeguate o insufficienti. Questo è particolarmente vero nelle aree del mondo in cui il lavoro informale è diffuso e in cui le normative di sicurezza sono deboli o inesistenti. In Italia, ad esempio, il Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro (D.Lgs. 81/2008) rappresenta un ottimo strumento legislativo, ma la sua applicazione risente di vari fattori, tra cui la carenza di risorse per le ispezioni e la lentezza burocratica. Molte aziende, soprattutto quelle più piccole, non riescono a tenere il passo con gli adempimenti richiesti, e questo contribuisce ad aumentare il rischio di incidenti. Dal lato delle imprese, vi è spesso una mancanza di attenzione alla sicurezza sul lavoro, specialmente quando si parla di riduzione dei costi. Laddove si cerca di massimizzare i profitti, le spese per la sicurezza vengono considerate secondarie. Questo è un errore grave, poiché non solo espone i lavoratori a rischi inutili, ma ha anche un impatto negativo a lungo termine sulle stesse aziende, che devono far fronte a costi legati agli incidenti, come risarcimenti, danni all’immagine e perdita di produttività. La Cultura della Sicurezza: Un Aspetto Fondamentale Un elemento essenziale per migliorare Raffaele Tovino
Autore: Raffaele Tovino 1 ottobre 2024
Nel corso degli anni ho avuto modo di osservare da vicino come nel settore edilizio sia fondamentale mantenere alti gli standard di sicurezza e qualità. Le sfide non mancano, ma oggi c'è uno strumento che sta rivoluzionando il modo in cui le imprese edili lavorano: la “patente a crediti”. Per chi non ne ha mai sentito parlare, si tratta di un sistema di valutazione che premia le aziende virtuose in base a diversi parametri legati alla sicurezza sul lavoro, alla formazione e al rispetto delle normative. In questo articolo, vi racconto cos'è la patente a crediti, come funziona e perché credo sia un passo avanti per il nostro settore. Cos'è la patente a credito? La patente a crediti è, di fatto, un sistema di “punteggio” che viene attribuito alle imprese del settore edile in base al loro comportamento. Ogni impresa accumula crediti in base a come gestisce la sicurezza sul lavoro, alla formazione dei dipendenti e alla conformità con le normative. Più un'azienda è virtuosa, più accumula crediti e, di conseguenza, ottiene dei vantaggi, come accesso facilitato agli appalti o agevolazioni economiche. Personalmente trovo che sia un sistema intelligente. In un settore come quello edile, dove spesso si cerca di risparmiare sulle spese a discapito della sicurezza, la patente a crediti spinge le aziende a fare la cosa giusta. Premia chi investe in sicurezza e formazione, e penalizza chi invece non rispetta le regole. Perché è importante? La patente a crediti ha obiettivi molto chiari, che condivido pienamente: Migliorare la sicurezza sul lavoro. La sicurezza, lo dico sempre, è la priorità numero uno. Questo sistema aiuta a capire alle imprese quanto sia fondamentale investire nella prevenzione e protezione dei lavoratori. Se si lavora in modo sicuro, si evitano incidenti e si guadagnano punti preziosi nella patente di credito. Raffaele Tovino
28 febbraio 2023
L’arresto cardiaco è una condizione improvvisa e potenzialmente mortale che può colpire chiunque, anche sul posto di lavoro. Senza una corretta Rianimazione Cardio Polmonare (RCP), la probabilità di sopravvivenza equivale solo al 5%. Tuttavia, un intervento immediato con un defibrillatore e le corrette manovre salvavita possono aumentare la probabilità di sopravvivenza fino al 50%. È importante distinguere tra arresto cardiaco e infarto, poiché spesso vengono confusi. L’arresto cardiaco è causato da un’alterazione del ritmo cardiaco che impedisce al cuore di pompare il sangue in modo efficace, mentre l’infarto si verifica quando il flusso sanguigno verso il cuore viene bloccato. Nel caso dell’arresto cardiaco, il fattore determinante è il tempo e l’intervento rapido può fare la differenza tra la vita e la morte. Statistiche sull’arresto cardiaco nei luoghi di lavoro Secondo le statistiche, ci sono circa 10.000 casi di arresto cardiaco nei luoghi di lavoro ogni anno. Solo una vittima su 20 sopravvive ad un arresto cardiaco improvviso. Tuttavia, se le vittime ricevono una RCP e vengono trattate immediatamente con un Defibrillatore Automatico Esterno (DAE), 10 su 20 potrebbero sopravvivere. L’installazione di un defibrillatore sul posto di lavoro potrebbe consentire a tutti i dipendenti di salvare vite umane. L’importanza di avere un defibrillatore in azienda Avere un defibrillatore in ufficio può creare un ambiente più sicuro per tutti i dipendenti e può anche comportare detrazioni fiscali (OT23). Inoltre, l’azienda potrebbe diventare un punto di riferimento per la cardioprotezione nell’area circostante. Non c’è alcun obbligo legale derivante dal possesso del defibrillatore, ma avere uno a disposizione potrebbe fare la differenza in caso di emergenza. Il primo soccorso nei luoghi di lavoro Il primo soccorso è l’insieme di interventi, di manovre ed azioni messe in essere da chiunque si trovi a dover affrontare un’emergenza sanitaria, in attesa dell’arrivo di personale specializzato. Gli obiettivi del primo soccorso in azienda sono riconoscere una situazione di emergenza, valutare le condizioni della vittima e attivare la catena dell’emergenza, allertando i soccorsi avanzati se necessario. Inoltre, è importante prestare i primi soccorsi utilizzando competenze adeguate per evitare ulteriori danni causati da un mancato soccorso o da un soccorso condotto in maniera impropria.
15 febbraio 2023
Lo stress da lavoro correlato rappresenta un grave problema per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), lo stress da lavoro è definito come “la risposta fisiologica e psicologica di un individuo che percepisce una mancanza di equilibrio tra le richieste del lavoro e le proprie risorse e capacità per farvi fronte”. L’OMS stima che il 25% degli adulti nel mondo soffra di disturbi mentali, tra cui depressione e ansia, causati principalmente dallo stress da lavoro. È quindi fondamentale valutare il rischio di stress da lavoro correlato , individuare i sintomi e prevenire i problemi di salute e sicurezza associati. Sintomi dello stress da lavoro I sintomi dello stress da lavoro possono essere fisici, psicologici o comportamentali. Tra i sintomi fisici più comuni vi sono mal di testa, mal di stomaco, affaticamento, dolori muscolari, disturbi del sonno e ipertensione. I sintomi psicologici includono ansia, irritabilità, umore depresso, difficoltà di concentrazione e bassa autostima. I sintomi comportamentali possono manifestarsi come isolamento sociale, assenteismo o aumento dell’uso di alcol o droghe. Valutazione del rischio di stress da lavoro correlato La valutazione del rischio di stress da lavoro correlato è un processo che prevede l’identificazione dei fattori di rischio presenti nell’ambiente lavorativo e la valutazione del loro impatto sulla salute e la sicurezza dei lavoratori. L’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) ha elaborato una metodologia per la valutazione del rischio di stress da lavoro . Questa prevede l’analisi dei fattori organizzativi, delle relazioni interpersonali, del carico di lavoro, dell’ambiente fisico e dell’organizzazione del lavoro. Come dimostrare lo stress legato al lavoro Per dimostrare lo stress da lavoro correlato , è necessario raccogliere prove che dimostrino l’esistenza di un nesso causale tra le condizioni lavorative e la salute del lavoratore. È possibile utilizzare prove documentali, testimonianze di colleghi e medici, perizie medico-legali e valutazioni psicologiche. Inoltre, è fondamentale dimostrare che lo stress da lavoro è stato causato da una violazione delle norme sulla sicurezza e la salute sul lavoro. Chi valuta lo stress da lavoro correlato La valutazione del rischio di stress da lavoro deve essere effettuata dal Datore di Lavoro. Questi deve provvedere a identificare i fattori di rischio, valutarne l’incidenza sulla salute e la sicurezza dei lavoratori e adottare le misure necessarie per prevenire o ridurre il rischio di stress legato al lavoro. Inoltre, il Datore di Lavoro può nominare un medico competente esterno, in grado di rilasciare valutazioni su stress da lavoro correlato. 
23 gennaio 2023
La normativa in vigore sulla sicurezza sul lavoro prevede che in ogni azienda vengano nominati degli addetti alla gestione delle emergenze. L’addetto al primo soccorso in un’azienda si occupa di gestire i casi di incendio e le necessità legate al primo soccorso in attesa dell’arrivo dei soccorsi qualificati . Addetto al primo soccorso: definizione e caratteristiche del ruolo L’ addetto al primo soccorso è una delle figure con il dovere di contribuire alla sicurezza all’interno delle aziende. Si tratta di un lavoratore designato per gestire le emergenze. Dovrà compiere le azioni necessarie a preservare la vita del lavoratore infortunato durante le operazioni di primo soccorso aziendale. Il datore di lavoro , ai sensi dell’articolo 18 del Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro, è tenuto a nominare l’addetto al primo soccorso. La nomina deve essere fatta tenendo conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda e dell’unità produttiva. Il TUSL non definisce il numero esatto di addetti alla sicurezza da nominare all’interno dell’azienda. Questo va determinato in proporzione, guardando alle caratteristiche dell’azienda, al numero dei lavoratori, al livello di rischio presente e alla frequenza con cui si verificano gli infortuni. Quando viene nominato anche un solo addetto al primo soccorso in un’azienda, è sempre necessario prevedere almeno un sostituto. Questi dovrà avere pari competenze in caso di assenza dell’addetto principale. La normativa prevede che la nomina ad Addetto al primo soccorso non può essere rifiutata , se non per comprovate motivazioni dovutamente documentate. Tuttavia, precisiamo che, anche se non esistono normative che si esprimono in materia, la selezione dell’addetto al primo soccorso dovrebbe tener conto delle attitudini e alla predisposizione personale dei lavoratori.
10 gennaio 2023
Numerosi gli obblighi cui deve assolvere un lavoratore: rispettare gli orari concordati, sottoporsi a regolari visite mediche , svolgere il proprio incarico con serietà e professionalità. Questi sono solo alcune delle attività che ogni lavoratore deve eseguire quotidianamente, nell’arco della sua vita professionale. Ma anche le aziende sono tenute a rispettare determinati vincoli. In particolare, uno dei più importanti di tutti riguarda la sorveglianza sanitaria obbligatoria . Chi sono i lavoratori che le imprese devono “controllare” a livello sanitario? Scopriamo di più in questo articolo. Sorveglianza sanitaria obbligatoria: chi sono i soggetti interessati Il D.lgs 81 determina l’obbligo, per tutte le imprese italiane, di sottoporre i propri dipendenti a un continuo piano di sorveglianza sanitaria obbligatoria. Ciò vale per tutti i lavoratori e per quei soggetti che, prestando un servizio, svolgono delle attività che riguardano direttamente l’organizzazione dell’azienda. In particolare, la sorveglianza sanitaria obbligatoria riguarda: tutti i lavoratori, a prescindere dal tipo di contratto formulato con l’azienda; i soggetti che beneficiano di un tirocinio formativo o di orientamento professionale; gli allievi degli istituti universitari e di istruzione; i partecipanti a corsi di formazione professionali; i soci lavoratori di società o di cooperative; i soggetti impiegati durante lavori socialmente utili. Categorie di lavoratori sensibili In particolare, la sorveglianza sanitaria obbligatoria deve essere continua e specifica nei riguardi dei lavoratori che appartengono a categorie sensibili . Ovvero, quei lavoratori che operano all’interno di contesti rischiosi, sia a livello chimico che fisico.
29 dicembre 2022
Il titolare di un’azienda è tenuto a garantire che i lavoratori siano adeguatamente formati per poter intervenire in caso di emergenza, fornendo loro le informazioni e i mezzi necessari per prevenire e gestire gli incidenti sul lavoro . A tal fine, è necessario che siano organizzati corsi di primo soccorso , che devono essere effettuati da personale qualificato e in grado di fornire le informazioni e le competenze necessarie per intervenire in modo efficace in caso di emergenza. Corsi di primo soccorso in azienda I corsi di primo soccorso in azienda possono essere di diversi livelli, in base alla complessità delle attività svolte e al numero di lavoratori presenti in azienda. Di seguito sono riportati i corsi di primo soccorso più comuni: Corso di primo soccorso base: è destinato a tutti i lavoratori e fornisce le competenze di base per intervenire in caso di emergenza. Il corso di primo soccorso base include l’apprendimento delle manovre di rianimazione cardio-polmonare (RCP) e delle manovre di disostruzione delle vie aeree. Corso di primo soccorso avanzato: è destinato ai lavoratori che svolgono attività a rischio elevato o che sono coinvolti in attività di emergenza. Il corso di primo soccorso avanzato include l’apprendimento delle manovre di rianimazione cardio-polmonare avanzata (RCPA), nonché l’utilizzo di strumenti e apparecchiature per la gestione delle emergenze. Corso BLSD (Basic Life Support Defibrillation): corso teorico e pratico per apprendere le manovre di primo soccorso con l’impiego di defibrillatore, da attuare tempestivamente in caso di arresto cardiaco improvviso. Corsi di primo soccorso in azienda per il personale incaricato: è destinato ai lavoratori che sono stati designati come incaricati del primo soccorso e che sono responsabili dell’organizzazione e della gestione delle attività di emergenza in azienda. Il corso di primo soccorso per il personale incaricato include l’apprendimento delle manovre di rianimazione cardio-polmonare avanzata (RCPA) e l’organizzazione delle attività di emergenza in azienda. Il titolare dell’azienda è tenuto a garantire che i lavoratori siano adeguatamente formati e che siano presenti in azienda le attrezzature e i mezzi necessari per intervenire in caso di emergenza. Inoltre, è necessario che siano individuati i lavoratori incaricati del primo soccorso e che siano organizzati corsi di formazione specifici per questi ultimi.
15 dicembre 2022
Il Documento di valutazione dei rischi (DVR ) è un documento previsto dal Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/08) che deve essere redatto da tutte le aziende, indipendentemente dalla loro dimensione, che presentino dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Il DVR deve essere redatto dal datore di lavoro o da un responsabile designato dallo stesso, in collaborazione con i lavoratori e i loro rappresentanti per la sicurezza. Tra gli altri soggetti abilitati alla redazione di questo documento rientrano il medico competente , il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) o il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). Il DVR deve essere redatto in modo da garantire la massima partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Questo documento va aggiornato periodicamente. In caso di modifiche significative delle attività lavorative o dell’organizzazione del lavoro, è necessario rivederne il contenuto. Perché nominare un medico competente in azienda Oltre che collaborare alla redazione del DVR , il medico competente , assumendo l’incarico, si impegna a: redigere il piano di sorveglianza sanitaria; redigere il calendario delle visite necessarie; effettuare le visite mediche ai dipendenti (preventive, idoneità alla mansione, periodiche, straordinarie, alla ripresa o alla cessazione del lavoro); curare la gestione delle cartelle cliniche; effettuare i sopralluoghi necessari; rilasciare valutazioni su stress da lavoro correlato; rilasciare “Giudizi di idoneità” per ogni specifica mansione.
22 novembre 2022
Vivere un ambiente salutare e sicuro rappresenta, per i lavoratori di un’azienda, un criterio imprescindibile per garantire performance eccellenti. È importante, infatti, sentirsi al sicuro, accolti in un luogo sereno nel quale, inevitabilmente, si trascorre la maggior parte delle ore della propria giornata. Uno degli strumenti che deve essere presente all’interno degli spazi di lavoro è il defibrillatore automatico . Questo dispositivo può salvare la vita di una persona in pericolo, soprattutto se a usarlo è l’ Addetto al Primo Soccorso Aziendale . Dove andranno collocati i defibrillatori automatici? In quali luoghi occorre inserirli? Scopriamo le indicazioni elaborate dal Decreto del 18 marzo 2011 . Posizionamento dei defibrillatori automatici Un’importante indicazione presente all’interno del Decreto del 18 marzo 2011 riguarda il posizionamento dei defibrillatori automatici . Per legge, questi dispositivi devono essere collocati in qualsiasi contesto o spazio di lavoro, per assicurare che vi sia la possibilità di eseguire le prime manovre di soccorso , in caso di bisogno. Quindi, per soccorrere un eventuale persona in arresto cardiaco , bisogna posizionare un defibrillatore automatico ogni 4 o 5 minuti di distanza. I dispositivi devono essere a portata di mano nel minor tempo possibile, in modo che l’Addetto al Primo Soccorso Aziendale possa intervenire immediatamente e prima dell’arrivo dei mezzi di soccorso sanitari . I defibrillatori automatici devono, pertanto, essere equidistanti e facilmente raggiungibili . L’azienda deve segnalare la presenza del dispositivo inserendo un cartello ben visibile, con il simbolo del defibrillatore. Indicazioni aggiuntive sul posizionamento I defibrillatori automatici devono essere presenti in tutti gli ambienti di lavoro, ma soprattutto nei luoghi: molto affollati o che ospitano un numero elevato di dipendenti; particolari, come ad esempio zone montuose , disagiate o con una bassa densità di popolazione. Quindi, se l’azienda non si trova in centro città o comunque è piuttosto distante dal primo presidio sanitario , diventa ancora più incisiva l’importanza del defibrillatore per la salvaguardia della salute dei dipendenti.
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